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Il 23 giugno 2016 i cittadini del Regno Unito hanno votato a favore di una clamorosa uscita dall’Ue. Le conseguenze economiche per il Regno Unito, anche se difficili da stimare, saranno rilevanti. I canali attraverso i quali questa decisione influenzerà l’attività economica sono molteplici. Nel breve periodo, i principali sono: (i) il canale del tasso di cambio, dove la svalutazione della sterlina potrebbe alimentare spinte inflazionistiche tali da impedire alla banca centrale inglese di tenere bassi i tassi d’interesse; (ii) il canale dell’avversione al rischio, attraverso il quale l’aumento dell’incertezza, circa le prospettive future di crescita, potrebbe provocare un aumento dei premi per il rischio che, a loro volta, attraverso l’aumento dei tassi di interesse, potrebbero deprimere gli investimenti. Nel lungo periodo, altri due canali assumono un ruolo importante: (a) il canale commerciale, ove l’imposizione di tariffe sullo scambio di beni tra il Regno Unito e l’Ue modificherà i prezzi relativi delle merci; (b) il canale degli investimenti diretti esteri attraverso il quale, a seguito della scelta di exit, si dovrebbe registrare una netta riduzione dei flussi in entrata nel Regno Unito proprio per la perdita dei vantaggi di far parte di un’area ove c’è libera circolazione di beni e servizi. Il rallentamento dell’economia inglese, a sua volta, potrebbe avere effetti sulla già debole ripresa mondiale ed europea in particolare. 

Per quanto riguarda l’Italia, la Commissione europea, nel documento di previsione pubblicato a febbraio 2019, stimava un rallentamento di -0.2% del tasso di crescita annuale del PIL per il 2019 e una ripresa del +0.8% per quanto riguarda il 2020

In un altro documento, la stessa Commissione dichiara che la questione Brexit rimane una fonte di incertezza e di negatività per tutta l’economia dell’Ue. Ripercorriamo ora le tappe più importanti del processo di uscita del Regno Unito dall’Ue, per riprendere, immediatamente dopo i punti principali dell’accordo, le relative conseguenze economico finanziarie.

1.     29 marzo 2017: Theresa May notifica all’Ue l’uscita del Regno Unito invocando l’articolo 50 del trattato che al comma 1 recita “ogni Stato membro può decidere, conformemente alle proprie norme costituzionali, di recedere dall’Unione”. Viene fissata come data ultima per negoziare un accordo tra Regno Unito e Ue il 29 marzo 2019.

2.     19 marzo 2018: Regno Unito e Ue concordano un piano di transizione di 21 mesi per evitare una hard Brexit. I punti salienti del piano sono: 

o  Transizione – Fino al 31 dicembre mantenere la situazione attuale per: unione doganale, mercato unico e politiche europee. Si chiede al Regno Unito di attenersi alle norme dell’Ue sebbene non farà più parte delle sue istituzioni. L’accordo prevede che il periodo di transizione possa essere esteso, tramite un accordo congiunto, una sola volta e per un periodo limitato; 

o  Assegno – La bozza di accordo stabilisce anche gli impegni finanziari del Regno Unito nei confronti dell’Ue. L’ammontare da versare non è riportato nell’accordo ma si stima che la cifra ammonti a circa 45 miliardi di euro;

o  Diritti dei cittadini – I cittadini del Regno Unito che vivono nell’Ue e viceversa manterranno i loro diritti anche dopo la Brexit. L’accordo si applica anche ai cittadini che prenderanno la residenza nel periodo di transizione;

o  Irlanda del Nord – Il “backstop” come clausola di salvaguardia. In particolare, il backstop garantisce il mantenimento del confine aperto con l’Ue anche dopo il periodo di transizione. La clausola si è resa necessaria considerati i dubbi esiti dell’accordo Regno Unito-Ue. Il backstop prevede che l’Irlanda del Nord resti allineata ad alcune regole dell’Ue in tema di prodotti alimentari e standard sulle merci. 

3.     15 gennaio 2019: il Parlamento inglese boccia il piano concordato al punto precedente innescando una crisi di più lunga gittata e dalle conseguenze imprevedibili.

4.     29 ottobre 2019: il Consiglio europeo adotta una decisione che proroga il termine previsto dall’art. 50 del trattato sull’Unione europea (TUE), a seguito della notifica, da parte del Regno Unito, della sua intenzione di recedere dall’Unione europea. La proroga fino al 31 gennaio 2020 concede più tempo ai fini della ratifica dell’accordo di recesso.

5.     29 gennaio 2020: il Parlamento europeo in plenaria approva l’accordo che garantisce un recesso ordinato del Regno Unito dall’Unione, e che riguarda i diritti dei cittadini, la liquidazione finanziaria, il periodo di transizione, i protocolli su Irlanda/Irlanda del Nord, Cipro e Gibilterra, la governance e altre questioni relative alla separazione. L’entrata in vigore dell’accordo di recesso segna la fine del periodo previsto dall’art. 50 del TUE e l’inizio di un periodo transitorio che durerà fino al 31 dicembre 2020. Tale periodo transitorio ha lo scopo di garantire più tempo ai cittadini e alle imprese per adeguarsi alla nuova situazione. Durante il periodo transitorio il Regno Unito continuerà ad applicare il diritto dell’Unione ma non sarà più rappresentato nelle istituzioni dell’Ue. Il Regno Unito continuerà, inoltre, a partecipare ai programmi dell’Ue e a contribuire al bilancio dell’Unione per il periodo 2014-2020.

6.     31 gennaio 2020: il Regno Unito è uscito dall’Unione europea.

7.     29 dicembre 2020: Pubblicata la Decisione 2020/2252 del Consiglio dell’Ue – Dal 1° gennaio al 28 febbraio 2021 sarà applicabile, in via provvisoria, l’accordo commerciale e di cooperazione tra Ue e Regno Unito. La Decisione 2020/2252 disciplina l’applicazione a titolo provvisorio l’accordo sugli scambi e la cooperazione tra l’Ue e la Comunità europea sull’energia atomica, da una parte, e Regno Unito e Irlanda del Nord, dall’altra, nonché l’accordo tra Ue, Regno Unito e Irlanda del Nord sulle procedure di sicurezza per lo scambio e la protezione di informazioni. In base all’articolo 12, a condizione di reciprocità, “gli accordi si applicano a titolo provvisorio a decorrere dal 1° gennaio 2021, in attesa che siano espletate le procedure necessarie per la loro entrata in vigore”.

I punti chiave dell’accordo

I tre punti di maggiore rilievo dell’accordo tra Ue e Regno Unito sono i diritti di pesca, le regole sugli aiuti di Stato e la governance dell’accordo stesso

Per quanto riguarda il primo punto, nonostante la pesca nelle acque britanniche incida meno di 600 milioni di euro per l’Ue, la questione è stata molto sentita nel Regno Unito considerata quasi un affronto alla sovranità nazionale. Ma alla fine l’accordo c’è stato: per i prossimi cinque anni e mezzo i pescherecci europei potranno continuare a pescare nelle acque britanniche anche se via via la quantità di pescato verrà ridotta. 

Molto più rilevante per gli europei è stato il secondo punto riguardante il cosiddetto level playing field. Le paure sottostanti erano legate al fatto che il Regno Unito potesse promuovere in futuro normative e tassazione più accomodanti nei confronti delle aziende scaturendo una sorta di concorrenza sleale nei confronti dell’Ue. Stesso discorso vale anche nel caso in cui il Regno Unito riconoscesse alle proprie aziende una sorta di aiuti di Stato molto più vantaggiosi rispetto a quelli dell’Ue. L’accordo prevede che il Regno Unito sia autonoma nella regolamentazione di tali materie ma al contempo senza discostarsi molto da quella europea e senza generare danno alla libera concorrenza. 

Il terzo punto, riguardante la governance dell’accordo, è relativo alle procedure da adottare se una delle due parti ritenga che l’altra abbia assunto un comportamento sleale o si rifiuti di rispettare gli accordi, tra i quali anche quelli già previsti nell’intesa di recesso per i quali il Regno Unito dovrà provvedere ad effettuare controlli doganali nel mare d’Irlanda, istituendo di fatto una barriera doganale tra l’isola di Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord. Le parti hanno concordato un meccanismo d’arbitrato particolarmente veloce nel caso in cui sorgano delle divergenze sull’accordo e la possibilità di applicare delle sanzioni qualora il Regno Unito si discosti da una leale concorrenza o non rispetti gli accordi (e viceversa).

Conseguenze economico-finanziarie 

Nella fase iniziale della Brexit i mercati finanziari erano sensibili alla vulnerabilità della zona euro e la sterlina perdeva potenza toccando i suoi minimi storici. Ora che l’accordo è realtà, i mercati hanno riconquistato fiducia e spinto gli indici europei al rialzo nonostante il 2020 sia stato complicato per le vicende inerenti alla pandemia da Covid-19. La pandemia ha infatti avuto un ruolo importante nelle perdite azionarie, così come ad attenuare il danno è stato l’avvento del vaccino che ha ridato fiducia. Ciononostante, nell’ultima settimana di dicembre del 2020 la sterlina ha subito un’oscillazione del 1%. Tale incertezza è chiaramente legata al futuro e a cosa succederà nei prossimi mesi e anni quando l’accordo sarà ormai a regime. Infine, per servire i clienti dell’Ue, alle istituzioni finanziarie, con sede nel Regno Unito, dovranno essere concessi “diritti di equivalenza”, in base ai quali l’Ue consente loro di svolgere determinate attività. Di recente, la Bank of England ha tagliato i tassi di interesse e ha preso misure di emergenza per aiutare a fermare la corsa dell’economia inglese verso la recessione. Per l’anno appena concluso, si stima che ci sia stata una contrazione del 9,8% del PIL per il Regno Unito rispetto a -8,3% per l’Ue. Non solo. Il Regno Unito ha stimato che l’accordo costerà per sé il 4% del PIL. Anche le economie dei paesi Ue saranno colpite, sebbene in misura minore. Secondo uno studio commissionato dal governo britannico, il costo economico finale della Brexit per il Regno Unito è maggiore di quello della pandemia da Covid-19.